Malëtt i sood!… – commedia lirica in 3 atti

Massimo Berzolla

Malëtt i sood!… – commedia lirica in 3 atti

  • Data di composizione 2023-05-13
  • Durata: Durata 1h30'

Adattamento di Massimo Berzolla dell’omonima Commedia dialettale piacentina in 3 atti di Egidio Carella (1899-1960)

L’intervista su Piacenza Diario (ascolta)

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PERSONAGGI E INTERPRETI
Pavlein Maretti, sarto – Tenore
Ceccö, amico di Pavlein – Basso
Conte di Roccia Scabra – Basso
Luisa, moglie di Pavlein – Soprano
Tersilla, sorella di Pavlein – Contralto
Lucietta, figlia del Conte e findanzata di Ferruccio – Soprano
Loretta, indossatrice – Mezzosoprano
Ferruccio, figlio di Pavlein – Tenore
Sergio, figlio di Pavlein – Contralto (voce bianca)
Usciere/Notaio/Carlein, domestico – Baritono

Organico strumentale di 16 elementi

Presentazione
“Commedia lirica”, così come è definito il Falstaff verdiano, capolavoro del teatro musicale nel quale il ritmo del soggetto shakespeariano, felicemente reinterpretato nel libretto di Boito, si compenetra con naturalezza con una vocalità priva di schemi, sensibile alle pieghe del testo e delle situazioni.
A questo modello si ispira l’autore per un’inedita messa in musica della pièce dialettale piacentina del noto commediografo Egidio Carella (1899-1960) Malëtt i sood!… (Maledetti i soldi!…), della quale viene utilizzato con rigore il testo originale, intervenendo solo sulla sua estensione per adeguarla alle comuni esigenze del testo cantato.
Quasi esclusivamente l’opera buffa barocca ha visto l’utilizzo di libretti dialettali, soprattutto napoletani con gli esiti felici di Paisiello e Pergolesi.
Analogamente in Malëtt i sood!… la travolgente alternanza di battute e situazioni comiche è ravvivata e potenziata dall’uso del dialetto; d’altro canto la musica attenua gli aspetti farseschi della rappresentazione in prosa per conferire ai personaggi un’umanità più delineata, pur nella semplice genuinità delle vicende narrate.
Il linguaggio musicale vuole essere coerente a tale esito e, con l’utilizzo di una tonalità allargata e di una vocalità sempre distesa e naturale, vuole evitare una scrittura “à la manière de” e tantomeno una parodia, ma tentare di esprimere con le note il sincero sentire del compositore, il suo divertimento accorato, l’attaccamento intimo all’atmosfera che una lingua che sente “sua” evoca.
È musica contemporanea composta con la convinzione che dalle sperimentazioni e contaminazioni novecentesche possa svilupparsi un linguaggio libero, che utilizza un’ampia tavolozza di colori per coinvolgere pubblico ed esecutori con una rinnovata attenzione alla comunicazione.
Non ci sono arie propriamente dette, ma neanche un asciutto “recitar cantando”; non è un musical né un’operetta, generi tradizionalmente più vicini alla commedia brillante, bensì un’opera lirica propriamente detta, integralmente cantata.
Un teatro musicale che mira all’essenzialità anche nell’impiego degli strumenti (un piccolo ensemble fuori buca), che non rinuncia alla piacevolezza, che tenta di raggiungere il difficile equilibrio di poteri tra le due arti regine, parola e musica, per imprimere un ritmo teatrale scattante e vitale, proprio della commedia dialettale, in una veste inedita.

Perché il dialetto?
Il dialetto è un tratto distintivo che connota l’appartenenza a un territorio.
Dà una forma specifica alle parole e quindi al pensiero; nasce dalla concreta vita quotidiana e, come una spugna, ne assorbe fatti, suoni, situazioni, persone e li restituisce con un’anima del tutto peculiare.
Un grande poeta scomparso di recente, Andrea Zanotto, a proposito del dialetto amava dire: “…il dialetto è qualcosa che serve per individuare indizi di nuove realtà che premono ad uscire…”.
Il dialetto possiede una forza espressiva e descrittiva genuina e ci consente di ripercorrere i sentieri della memoria.
“Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà”. Così scriveva Pier Paolo Pasolini, che vedeva nel dialetto l’ultima sopravvivenza di ciò che ancora è puro e incontaminato. Come tale doveva e deve essere “protetto”.
Un’opera lirica composta su una commedia in piacentino manifesta la volontà di “prendere sul serio” la lingua di un territorio, ma non è un’operazione di chiusura campanilistica: se da un lato il dialetto esprime la specifica identità di un luogo, d’altro canto è proprio la sua dinamica espressiva a costituire lo specchio reale di un’area senza confini, in cui la lingua trascolora di paese in paese ricreandosi in differenti espressioni, accenti, cadenze, e restituendo l’immagine di una comunità umana affascinante nella sua diversità.
“Vorrei entrare dentro i fili di una radio e volare sopra i tetti delle città, incontrare le espressioni dialettali, mescolarmi con l’odore dei caffè” cantava Lucio Dalla in Le rondini: un volo sulla società contemporanea per abbracciare la ricchezza della quotidianità, che nel dialetto trova un suo modo di inverarsi.

SINOSSI

Atto I
Il sarto Pavlein Maretti è in difficoltà economiche. La sorella Tërsilla si lamenta della gestione della casa in polemica con la cognata Luisa, moglie di Pavlein, che non riesce a sostenere le piccole spese ordinarie.
L’amico Ceccö cerca di aiutarlo nel recupero crediti e lo stimola a valorizzare le sue capacità artigianali.
Il figlio più piccolo, Sergio, frequenta ancora la scuola ed è un monello con problemi di condotta.
Alle difficoltà economiche si aggiunge il problema della relazione del figlio più grande Ferruccio che frequenta la contessina Lucietta: il padre di lei, l’altezzoso conte di Roccia Scabra, si presenta infatti in sartoria intimando a Pavlein di far cessare la relazione tra i due giovani.
Dopo l’acceso confronto tra il Conte e Pavlein sostenuto da Ceccö, arriva un ufficiale giudiziario per il pignoramento dei mobili, motivato dai reclami dei creditori.
La successiva entrata in scena di un notaio sembra preludere a una nuova catastrofe: viene comunicata la morte del fratello del sarto, vissuto in Svizzera e quasi dimenticato dalla famiglia, il quale invece ha nominato come unico erede Pavlein, che riceve la bellezza di venti milioni!

Atto II
Abbandonato l’umile laboratorio, la famiglia Maretti si è trasferita in un lussuoso appartamento e conduce vita agiata, tentando di conformarsi all’etichetta dell’alta società.
Il Conte è divenuto amministratore della fortuna ereditata da Pavlein; i rispettivi figli, Lucietta e Ferruccio, sono promessi sposi e si sta organizzando un matrimonio in grande stile.
I rapporti hanno però subìto dei cambiamenti: il Conte tenta di sedurre la moglie di Pavlein, Luisa, che ne è lusingata, ma cerca di resistere; Pavlein si invaghisce di un’indossatrice, Loretta, proveniente da Milano, inviata in casa Maretti per la prova dell’abito da cerimonia di Luisa; Lucietta vede la possibilità di coronare il sogno di sposare Ferruccio, ma è preoccupata dell’influenza del padre su Pavlein.
Il Conte infatti coinvolge il povero sarto in investimenti spericolati, tra cui l’acquisto di azioni di una società mineraria della quale si vanta di averlo fatto eleggere presidente.
L’amico Ceccö ha un franco colloquio con Pavlein, colto in fragrante con la modella, e gli confessa di non essere a suo agio in un ambiente privo della genuina semplicità del passato, dove tutti hanno perso la loro identità, compresa Tërsilla, per la quale aveva una non dichiarata attrazione.

Atto III
Dopo alcuni mesi la situazione si è deteriorata: la gestione del patrimonio è fallimentare; il Conte prevarica sulla servitù e si fa sempre più insistente con Luisa; Pavlein finanzia un negozio gestito da Loretta, con la quale ha intrapreso una relazione; Luisa e Tërsilla hanno uno scontro nel quale questa accusa la cognata di cedere alle lusinghe del Conte e al quale però assiste di nascosto Pavlein, che si dispera con Ceccö per la perdita dell’onore.
Il figlio Ferruccio, consapevole che tutti stanno imbrogliando il padre, incarica Ceccö di attuare una strategia per mandar via il Conte e ripristinare la serenità di un tempo: con la complicità del domestico Carlein, il portone della casa viene chiuso per regolare gli ingressi.
Ceccö liquida dapprima Loretta, che con il pretesto dell’arrivo del fidanzato geloso e violento aveva tentato di spillare ancora soldi a Pavlein; poi affronta il Conte, che minaccia di andarsene portando via la figlia; questa però dichiara di voler restare e cerca di convincere il padre a cambiare mentalità e ad aprirsi alla amorevole accoglienza della famiglia di Ferruccio.
I rapporti di Ceccö con Tërsilla, dopo un primo screzio, ritrovano l’antica sintonia e sfociano in una dichiarazione d’amore reciproco.
Pavlein vuole solo ritrovare l’amore della moglie Luisa e l’unità della sua famiglia: riprende il paravento del suo vecchio laboratorio e chiama la sorella per prendere le misure per il vestito da sposo del figlio, mentre Ceccö progetta l’apertura di una nuova elegante sartoria.
Il Conte, pur con grande disagio, alla fine si ricrede e Ceccö viene riconosciuto da tutti come l’artefice “straurdinäri e fenumenäl” della ritrovata serenità.