Canto di Ulisse per voce e archi o voce e pianoforte

Massimo Berzolla

Canto di Ulisse per voce e archi o voce e pianoforte

  • Data di composizione 1992
  • Durata: 11'30"
  • Prima esecuzione dal vivo: 28 luglio 2013, Festival dell'Armonia, Abbazia di San Giovanni, Fossacesia (Chieti), Gaby Bultmann voce, Gli Archi delle Fonderie Sonore, Italo Stante direttore

per voce e orchestra d’archi (o quintetto)
versione per voce e pianoforte (2021, per il settimo centenario della morte di Dante Alighieri)

Cantata su testo tratto dal canto XXVI de L’Inferno da La divina commedia di Dante Alighieri

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Gaby Bultmann

TESTO

Dal XXVI Canto de L’Inferno di Dante Alighieri

[…] «Quando
mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sí Enea la nomasse,
né dolcezza di figlio, né la pièta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e delli vizi umani e del valore;
ma misi me per l’alto mare aperto
col con un legno e con quella compagna
piccola dalla qual non fui diserto.
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola de’ Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.
Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi,
acciò che l’uom più oltre non si metta;
dalla man destra mi lasciai Sibilia,
dall’altra già m’avea lasciata Setta.
“O frati”, dissi “che per cento milia
perigli siete giunti all’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
de’ nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperioenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
Li miei compagni fec’io sí aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
dei remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
Tutte le stelle già dell’altro polo
vedea la notte e ’l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto dalla luna,
poi che ’ntrati eravam nell’alto passo,
quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché della nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque:
alla quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sopra noi richiuso».